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Ago 30, 2022 - opinioni    No Comments

Ad Alba via don Valentino Vaccaneo

don-valentino-6 Caro don Valente

Sono già trascorsi 10 anni da quando ci hai lasciati. Da un punto di vista legale ora potrebbero intitolarti una via di Alba, città per cui tanto ti sei speso e in cui hai seminato a piene mani tanto bene.

In ogni caso, anche se l’Amministrazione Comunale non vorrà dedicarti una via o un vicolo della nostra città (ad es. Vicolo Provvidenza, dove ha sede l’Oratorio del Duomo), il segno l’hai lasciato e in un certo senso continui a vivere insieme a noi, che abbiamo avuto la fortuna di conoscerti e di imparare grazie a te il Vangelo che hai predicato e vissuto. È vero, non ci sono più preti come te che la domenica dal pulpito cercano di scuoterci dal nostro torpore e dalla nostra indifferenza per aprirci lo sguardo verso le nuove povertà e le persone fragili della nostra società, che hanno più bisogno delle nostre attenzioni. I giovani sono sempre più disorientati e sentono la mancanza di una guida di riferimento sicura come sei stato tu, con i tanti ragazzi che hai formato ai campi scuola a Saint Jacques. È sempre più difficile trovare preti che ci mettano in guardia dai richiami populisti di certi politici, che suscitano il nostro egoismo nazionale e alimentano l’odio verso lo straniero e il diverso, magari appellandosi ad un senso religioso distorto, per ottenere un facile consenso. Oggi citeresti a piene mani le encicliche ‘Fratelli tutti’ e ‘Laudato sii’ di Papa Francesco per invitare alla fratellanza e alla cura della nostra casa comune, prima che sia troppo tardi per non creare divisioni tra i popoli e per non compromettere i delicati equilibri del nostro pianeta.

Per fortuna hai donato tanto e ci sono molti tuoi discepoli che, seguendo le tue orme, danno continuità alle tante tue opere e intuizioni, rese ancora più immortali dalla stampa dei diversi volumi che raccolgono le tue ‘Riflessioni al vento’, che per diversi anni hanno impreziosito le pagine del settimanale ‘Gazzetta d’Alba‘ e che, rilette oggi, continuano a insegnarci molte cose e ad orientarci nella vita cristiana di tutti i giorni.

Continua ad aiutaci da lassù ad avere sempre un cuore grande e accogliente verso tutti.

(Lettera a don Valentino Vaccaneo, prete che ha prestato il suo servizio nella città di Alba dal 1959 al 27 agosto 2012, giorno in cui è mancato)

Una manovra necessaria ma iniqua

Grazie alle bugie e all’inadeguatezza di Tremonti e Berlusconi ci siamo venuti a trovare ad un passo dal baratro della bancarotta di Stato. Un debito pubblico che ha superato i 1.900 miliardi di euro, che sta diventando insostenibile col lievitare degli interessi che siamo tenuti a pagare sulle nuove emissioni di Titoli di Stato (BOT, BTP). Una bancarotta di Stato che significherebbe non pagare più gli interessi sui Titoli di Stato ai risparmiatori e agli istituti bancari e finanziari che li possiedono, non pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici (insegnanti, personale sanitario e della Pubblica Amministrazione, ecc) e alle imprese che hanno in appalto lavori pubblici, non pagare le pensioni e gli assegni assistenziali, non fornire più i servizi erogati da Stato, Regioni, Province e Comuni (sanità, manutenzione strade, trasporti pubblici, ecc.). Praticamente si fermerebbe l’intero sistema economico italiano, trascinando con sé il sistema economico europeo e globale.

Di fronte a un tale pericolo era necessaria una manovra economica di emergenza fatta da un Governo di emergenza. Una manovra ‘lacrime e sangue’ da 35 miliardi di euro, che dovrebbe chiedere sacrifici un po’ a tutti, ma soprattutto a chi fatica di meno a campare e i sacrifici può ancora permetterseli. Invece, i diversi provvedimenti gravano in prevalenza sulle spalle delle classi più povere, già duramente colpite dalla crisi. Il mancato adeguamento all’inflazione delle pensioni che superano 1.400 euro lordi, la reintroduzione dell’imposta sulla prima casa senza riduzioni o esenzioni per i redditi più bassi, l’aumento delle imposte sui carburanti, sono tutte misure che incidono sul reddito e aumentano le spese per chi già fatica a far quadrare il bilancio per arrivare a fine mese. Senza contare la conseguente diminuzione dei consumi con i suoi effetti deleteri sull’economia e sull’occupazione.

Inoltre c’è l’ennesima riforma delle pensioni, con l’innalzamento dei requisiti di accesso, che in pratica sottrae i contributi versati dai lavoratori per la loro pensione, destinandoli al risanamento del bilancio statale. Un vero e proprio furto di Stato nei confronti dei lavoratori, visto che il bilancio previdenziale dell’INPS è in attivo.

Si poteva invece chiedere più sacrifici a chi può permetterseli, ad esempio con un’imposta patrimoniale o con un innalzamento delle aliquote IRPEF sui redditi più elevati. Anche la nuova imposta sulla casa (IMU) andava modulata in base al reddito.

Probabilmente questa manovra è figlia della fretta dettata dalla situazione di emergenza in cui ci troviamo e i soldi vengono prelevati dove è più facile e immediato reperirli.

Spero che, superata l’emergenza, il Governo Monti riesca a studiare misure efficaci per recuperare somme sottratte dall’evasione fiscale e dall’economia sommersa (si stimano più di 100 miliardi l’anno), colpire i capitali esportati illegalmente in Svizzera o altri paradisi fiscali, non regalare frequenze televisive a Berlusconi. Di regali il Cavaliere se ne è già fatti troppi quando governava. La serietà e la preparazione del prof. Monti e dei suoi Ministri hanno messo ancor più in evidenza che eravamo governati da buffoni ignoranti. Speriamo che alla serietà si unisca un maggior senso di equità con una redistribuzione dei sacrifici verso chi può ancora permetterseli.

Nov 22, 2008 - opinioni    No Comments

Consigli di lettura: Martini e Bianchi

Mi hanno particolarmente colpito alcune frasi del card. Carlo Maria Martini sul suo ultimo libro ‘Conversazioni notturne a Gerusalemme – Sul rischio della fede’ : ‘Non pensare in modo biblico ci rende limitati, ci impone dei paraocchi non consentendoci di cogliere l’ampiezza della visione di Dio’. Il pericolo nel quale si può incorrere (anche nella Chiesa) è quello di lasciarsi condizionare dalla «mentalità ristretta» dell’individualismo imperante, dalla paura del diverso e dall’indifferenza per i bisogni dell’altro, preoccupati soltanto di guardare a se stessi, fino a fare di se stessi un assoluto.
È necessario, dunque, formarsi alla scuola della Parola. Infatti, spiega Martini, «in tutta la Bibbia, Dio ama gli stranieri, aiuta i deboli, vuole che soccorriamo e serviamo in diversi modi tutti gli uomini»

Questo è solo uno dei molti spunti interessanti che il card. Carlo Maria Martini, come sempre profondo ed essenziale, ci propone in questo libro di cui consiglio la lettura. Per una presentazione più approfondita vi rimando all’articolo di Bartolomeo Sorge apparso sul numero di novembre di Aggiornamenti sociali (www.aggiornamentisociali.it).

Un altra lettura che consiglio è l’articolo apparso su LA STAMPA del 16 novembre (che riporto qui sotto) di Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, che spiega in modo chiaro e illuminante quanta incoerenza c’è in molti personaggi politici che si dichiarano paladini delle radici cristiane della nostra cultura per poi proporre leggi e atteggiamenti discriminatori nei confonti degli ultimi, dei più poveri, di chi fa più fatica a vivere ed integrarsi nella nostra società. I frutti di buone radici cristiane sono l’attenzione e l’aiuto verso i fratelli bisognosi, non la loro criminalizzazione. Buona lettura

 

I frutti malati delle radici cristiane

Una lunga tradizione di accoglienza stride con l’attuale criminalizzazione del diverso

di ENZO BIANCHI

«Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi?». A questa metafora contadina usata da Gesù mi capitava di tornare sovente nella recente stagione in cui appassionate discussioni ruotavano attorno all’inserimento o meno di un richiamo alle «radici cristiane» nella costituzione europea. Ero infatti perplesso di fronte a tanto zelo mostrato da paladini di recente arruolamento nelle file della cristianità, i quali però non apparivano altrettanto solerti nel cercare modalità per tradurre in comportamenti quotidiani, sia individuali che collettivi, la linfa che quelle radici avrebbero dovuto fornire all’albero della società civile europea.

Ora, che nel passato anche recente ci sia stata abbondanza di frutti, di segni visibili di una identità cristiana di tanti cittadini, associazioni e istituzioni italiane ed europee è un dato innegabile. Che si tratti di monumenti storici, di opere artistiche o di tesori letterari, di festività e calendari o di usi e consuetudini familiari, di orientamenti etici o di opzioni politiche, è tutto un patrimonio culturale che testimonia come il cristianesimo abbia saputo plasmare – anche nel confronto con la tradizione classica e, a volte in modo non sempre pacifico, con l’ebraismo, l’islam, la filosofia dei Lumi – il ricco e variegato mondo europeo nel quale oggi viviamo.

Secoli di presenza cristiana e di faticosa, sofferta dialettica con sistemi religiosi, istituzioni civili, pensieri filosofici, ideologie politiche diverse hanno sedimentato modi di pensare e di agire, sensibilità comuni, sentimenti condivisi. Ci sono addirittura figure di santi o brani evangelici che sono diventati paradigmatici anche per chi non condivide la fede cristiana: basterebbe pensare alle tante chiesette delle nostre campagne dedicate a san Martino – un santo «europeo» per le vicende della sua vita trascorsa tra Pannonia e Gallia – che dona il suo mantello a un mendicante. E chi non conosce la celebre scena del giudizio riportata dal Vangelo di Matteo, in cui viene chiesto conto a ciascuno di come si è comportato nei confronti di affamati e assetati, di stranieri, malati e carcerati, insomma degli ultimi identificati a Cristo stesso?

Il permanere di questo patrimonio di idee e di ideali che hanno saputo tradursi in azioni concrete e quotidiane, la solidità di queste «radici» che hanno alimentato piante rigogliose capaci di dare frutti mi paiono stridere tragicamente con sentimenti, ragionamenti, disposizioni amministrative o legislative che presentano un quadro palesemente in contrasto con un’identità cristiana proclamata verbalmente. Si assiste giorno dopo giorno a una progressiva criminalizzazione del diverso, dello straniero, del povero e del debole: impronte digitali prese a bambini di un’etnia minoritaria, classi speciali che ostacolano quell’integrazione che dicono di voler promuovere, schedatura di chi vive senza fissa dimora, allontanamento dei mendicanti dai luoghi dove la loro vista turberebbe chi non li degna nemmeno di uno sguardo, ronde private non necessariamente disarmate, introduzione del reato di «presenza» in Italia, messa in discussione della gratuità e universalità delle cure di pronto soccorso… Purtroppo l’elenco si allunga ogni giorno, e ogni nuova proposta discriminatoria suscita isolate reazioni, in particolare dal Pontificio Consiglio Iustitias et Pax, subito bollate di «buonismo» e viene poi digerita e assimilata, in attesa di un boccone ancor più amaro da trangugiare.

E intanto, grazie a questo clima, le cui dominanti non sono certo cristiane, un senzatetto viene arso vivo sulla panchina su cui dormiva, un nero viene picchiato e oltraggiato, un mendicante viene assalito e percosso, dei nomadi vengono inseguiti e cacciati… E l’odio, questo nefasto sentimento che sta accovacciato nel cuore dell’uomo e che un tempo assumeva connotazioni di classe focalizzandosi contro i ricchi, i potenti, gli oppressori, ora è rivolto verso quelli che sono semplicemente «altri» e che non si vogliono più vedere accanto a noi.

Ora, nessuno chiede che uno stato moderno trasponga le esigenze del vangelo in articoli di legge o in commi del codice civile, ma resta l’interrogativo di quali principi ispirino i comportamenti non solo dei singoli, ma delle istituzioni e dei corpi sociali. Quali valori troviamo oggi nel vissuto concreto e nella progettualità politica che possano essere ascritti alle «radici cristiane» di cui a ragione riteniamo di poterci gloriare? Quali frutti ha dato l’albero che per secoli abbiamo visto crescere e ramificare nutrito da quelle radici?

È miope la visione di chi crede di risolvere i problemi dandogli il nome di reato, è falsante l’opzione che trasforma il diverso in criminale, è distorta e controproducente l’identificazione dell’immigrato con l’invasore, del povero con il disturbatore della quiete, dell’emarginato con il sovversivo. No, abbiamo bisogno di un soprassalto di dignità umana prima ancora che cristiana, abbiamo urgente necessità di ritrovare in noi e attorno a noi il rispetto per la dignità di ogni essere umano, abbiamo un’esigenza vitale di riscoprire come il bisognoso è uno stimolo e non un intralcio a una società più giusta. Se continuiamo a confondere la sicurezza con l’esclusione di ogni diversità, se continuiamo a nutrire le nostre paure invece che ad affrontarle, se crediamo di poter uscire dalle difficoltà non assieme ma contro gli altri, in particolare i più deboli, ci prepariamo un futuro di cupa barbarie, ci incamminiamo in un vicolo cieco in cui l’uomo sarà sempre più lupo all’uomo.

Forse sta diventando tragicamente vera anche per noi la situazione icasticamente descritta dal famoso detto della sapienza indiana che sembra modellato sugli apoftegmi dei monaci del deserto: due lupi stanno lottando dentro ciascuno di noi e nella nostra società contemporanea, uno pieno di rabbia e rancore, di risentimento nei confronti del diverso, l’altro animato da compassione e amore intelligente. Anche questa volta preverrà il lupo che avremo saputo nutrire meglio nel nostro quotidiano.